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mercoledì 16 gennaio 2008

Product Placement

Il Carosello al cinema


Grazie alle legge Giuliano Urbani del 2004, il cinema italiano può usufruire di introiti provenienti dall’inserimento di prodotti e marchi riconoscibili all’interno dei film. In altre parole è una fonte alternativa di finanziamento, dato che i fondi destinati alla produzione cinematografica da parte dello stato sono sempre di meno. Tecnicamente si chiama Product Placement e detta all’ italiana, sottolineandone
il lato negativo, è pubblicità occulta, semplicemente può essere chiamata pubblicità trasversale.
Nelle ultime fatiche cinematografiche nostrane sembra che il fenomeno sia in espansione, ma attenzione però all’uso eccessivo, al rischio di girare film commissionati da un marchio o film realizzati solo per collezionare pubblicità, con il risultato di avere il Carosello al cinema.
La legislazione italiana afferma:
Ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, é ammesso il collocamento pianificato di marchi e prodotti nelle scene di un’opera cinematografica «product placement» con le modalità e tecniche previste dal presente decreto.
Importanti sono le limitazioni per evitare i rischi sopra citati :
La presenza di marchi e prodotti é palese, veritiera e corretta, secondo i criteri individuati negli articoli 3, 3-bis e 6 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74. Essa deve integrarsi nello sviluppo dell’azione, senza costituire interruzione del contesto narrativo.
Ai fini della riconoscibilita’ delle forme di collocamento pianificato di cui all’art. 1, l’opera cinematografica deve contenere un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza dei marchi e prodotti all’interno del film, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste.
Comunque, già prima della riforma italiana eravamo abituati alla pubblicità di prodotti americani nei film Hollywoodiani. Oltreoceano, infatti, il product placement è diffuso già da molto tempo e sono tanti i casi, più o meno recenti, passati alla storia tra cui: Dr. Pepper di "Forrest Gump", FedEx in "Cast Away", New Beetle di Wolksvagen ed automobili Ford in "Fight Club", il maggiolino di “Austin Power”, le Bmw di “007”, i cellulari motorola di “Mission impossible", o addirittura Tom Cruise in “Minority report” interagisce con i cartelloni della Nexus e della Nokia.
La tecnica sembra anche favorire l'inserzionista, infatti, ancora prima di legalizzarla negli Stati Uniti, ci furono impennate di vendite della cioccolata Reese quando fu usata per attirare “E.T.” nel film di Spielberg, delle tavole per surfisti Bear in "Un mercoledì da leoni", del pettine Ace usato da James Dean in "Gioventù bruciata".
“Viviamo in un mondo di marche e l'intrattenimento deve riflettere questo fatto, altrimenti non sembra reale!". Così recita in America il product placement, daltronde è senza dubbio, ma con la limitazione di un uso corretto ed intelligente, un’opportunità sia per il cinema sia per gli inserzionisti. Per il cinema è, come già detto, nuova fonte di autofinanziamento, per il brand è un’occasione per dare immagine al proprio prodotto senza un’interruzione invasiva come le reclame per la Tv. Inoltre, gli spot tradizionali attraversano una crisi di utilità, perciò questo nuovo formato registra un forte impatto perché l’azienda che utilizza il product placement è percepita come nota e prestigiosa.